Pulito, versatile, costante e potenzialmente risolutivo, l’idrogeno è sicuramente uno dei principali driver della transizione ecologica e della decarbonizzazione nei prossimi anni. Un elemento imprescindibile per poter raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione fissati a livello europeo per il 2030, che prevedono la riduzione del 55% dei gas serra, e il Net Zero, ovvero l’azzeramento delle emissioni nette, entro il 2050.
Un progetto ambizioso, nel quale, purtroppo, dopo un inizio in testa, l’Italia ha perso terreno in favore di 5 top player: Germania, Spagna, Olanda, Danimarca e Regno Unito.
Secondo l’Hydrogen Innovation Report 2023 redatto dall’Energy&Strategy della School of Management del Politecnico di Milano, su un totale di 631 progetti inerenti all’installazione di impianti a idrogeno da elettrolisi, soltanto 24 sono italiani. Un contributo che, dall’anno scorso, è sceso da un target di 5 GW di capacità di elettrolisi e investimenti per 10 miliardi di euro, superiori a quelli degli altri Paesi europei, a soltanto 1,97 GW. Secondo Viviana Cingolotti, responsabile ENEA del Laboratorio di Accumulo di energia, batterie e tecnologie per la produzione e l’uso dell’idrogeno, nonché alla guida della EFC23, però, nonostante alcune barriere ancora da abbattere, siamo sulla buona strada e abbiamo dato inizio a un processo ormai inarrestabile.
Ma facciamo un passo indietro e cerchiamo di fare chiarezza su questo combustibile del futuro.
L’idrogeno è una fonte di energia a emissioni zero?
Si. E no. Dipende dal colore.
Fonte: Hydrogen innovation report 2022
L’idrogeno, infatti, può essere prodotto da diverse fonti, sulla base delle quali sono stati definiti colori diversi per identificarlo. Si parla di idrogeno grigio, verde, blu, marrone… perfino di idrogeno circolare.
Cosa cambia? Cambiano i costi di produzione ma, soprattutto, il livello di emissioni di CO2 prodotta e la sostenibilità del processo di produzione.
Sfatiamo subito un mito: l’unico idrogeno a emissioni zero, perfettamente pulito e sostenibile, è l’idrogeno verde, prodotto, cioè, da fonti rinnovabili.
L’idrogeno tradizionale che, al momento, è anche il più diffuso, è, infatti, ottenuto dalla raffinazione del petrolio o del gas naturale con un processo che produce una notevole quantità di CO2, rendendolo non sostenibile per l’ambiente.
L’idrogeno blu, invece, è controverso: se da una parte permette di ridurre parte delle emissioni di anidride carbonica immagazzinando e riciclando quella coinvolta nel processo di produzione, dall’altra per produrlo occorrerebbero comunque grandi quantità di metano, estremamente dannoso per l’ambiente, in quanto occorrerebbe separare il gas naturale bruciandolo. Questo processo, però, produrrebbe anche anidride carbonica, il cui stoccaggio, alla base della concezione dell’idrogeno blu, non è, di fatto, ancora stato perfezionato. Il risultato a livello di sostenibilità potrebbe, quindi, non essere così evidente e, anzi, secondo lo studio di Robert W. Howarth (Cornell University) e Mark Z. Jacobson (Stanford University), considerando tutti i gas serra coinvolti nel processo di produzione, l’utilizzo di idrogeno blu sarebbe anche peggiorativo rispetto all’utilizzo dei combustibili fossili o, nel migliore dei casi, quasi ugualmente dannoso per l’ambiente.
L’idrogeno circolare, invece, utilizzerebbe come fonte per la produzione quella parte di rifiuti non più riciclabile. Su questo si basa il progetto di Maire Tecnimont Group in collaborazione con Q8 che, lo scorso giugno, ha previsto la presentazione della prima stazione di rifornimento di idrogeno a Roma, che sarà operativa dal 2026. Secondo Alessandro Bernini, CEO di Maire, questo utilizzo della frazione non più riciclabile dei rifiuti, altrimenti destinata a discariche e termovalorizzatori per lo smaltimento, permetterebbe, oltre alla produzione di idrogeno, quella di etanolo e metanolo, che secondo la direttiva europea RED III andranno miscelati in percentuali sempre maggiori alle benzine tradizionali, e quella di gas di sintesi, che potrebbero essere immessi in rete, in alternativa al gas di importazione.
Tuttavia, la tipologia di idrogeno su cui si fonda e si dovrà fondare una reale transizione energetica verso una maggiore sostenibilità è l’idrogeno verde, prodotto da elettrolisi dell’acqua grazie ad energia da fonti rinnovabili. Questo è possibile grazie agli elettrolizzatori, dispositivi all’interno dei quali l’energia elettrica separa le molecole di acqua (H2O) in atomi di idrogeno e ossigeno. Quest’ultimo viene poi liberato nell’atmosfera, mentre l’idrogeno viene immagazzinato per un uso successivo. Se, quindi, l’energia elettrica utilizzata per il processo di elettrolisi proviene da fonti rinnovabili (fotovoltaico, eolico, idroelettrico), la produzione di anidride carbonica è nulla. Tuttavia, la quantità di energia necessaria alla produzione di idrogeno è alta e, quindi, questa soluzione risulta al momento più costosa.
Per ridurre il peso dell’investimento ottimizzando strutture e infrastrutture già esistenti, per un nostro cliente attivo nella produzione dell’alluminio, ad esempio, stiamo valutando una soluzione intermedia che comprenderebbe la miscela di gas metano e idrogeno come fuel per i bruciatori necessari alla produzione, sfruttando, per l’elettrolisi, l’energia di un impianto fotovoltaico.
Campi di utilizzo
L’idrogeno verde ha un campo di utilizzo estremamente ampio, che va dalla mobilità, al riscaldamento domestico, ai trasporti, ad alcuni processi industriali.
In particolare, sono due i vantaggi che porterebbe rispetto all’utilizzo dell’energia elettrica. Innanzitutto, garantendo energia per un periodo più lungo rispetto alle batterie e offrendo tempi di ricarica più brevi, compenserebbe due fra i più contestati punti deboli imputati alla mobilità elettrica.
Ma ancor più interessante, l’idrogeno verde permetterebbe di rendere partecipi alla transizione green in maniera attiva anche tutti quei settori, dai cosiddetti settori industriali hard to abate (per i quali l’utilizzo dell’idrogeno è stato definanziato dal PNRR) al trasporto aereo e navale, che difficilmente potrebbero fondare la loro operatività esclusivamente sull’energia elettrica e su impianti a batteria.
Si parla, ad esempio, di industrie energivore quali impianti siderurgici, industria della ceramica e del vetro, impianti per la lavorazione di materie prime, che hanno un forte impatto sulle emissioni totali di gas serra e che, conseguentemente, devono essere parte fondamentale della battaglia verso la loro riduzione.
A questo proposito alcuni progetti sono già in atto: il progetto Murano si prefigge di studiare la possibilità di utilizzare miscele variabili di gas naturale e idrogeno verde nei forni fusori destinati alla produzione del vetro, fiore all’occhiello della produzione artistica dell’isola, mentre Iris Ceramica Group, in collaborazione con SNAM e Edison Next, ha annunciato l’intenzione di creare la prima fabbrica di ceramica al mondo a idrogeno verde. L’elettrolizzatore sfrutterebbe l’energia derivante da due impianti fotovoltaici, uno dei quali già esistente, per una potenza totale di 3,2 MW, e l’acqua piovana recuperata dalle vasche di raccolta. Il progetto prevederebbe l’utilizzo dell’idrogeno prodotto per alimentare il forno necessario alla produzione di lastre in ceramica tecnica, inizialmente in miscela al 50% per poi, in un secondo momento, prevedere la sostituzione del forno con uno 100% a idrogeno.
Già l’utilizzo del blending al 50% permetterebbe la riduzione di circa 900 tonnellate all’anno, mentre la produzione totale attesa sarebbe di 132 tonnellate di idrogeno verde/anno, che andrebbero a sostituire 500.000 metri cubi di gas metano all’anno.
In atto anche due accordi, da parte di ARST (Sardegna) e FdC (Calabria) con Stadler per la progettazione, produzione, consegna e manutenzione rispettivamente di 10 e 15 treni a idrogeno con scartamento ridotto per tratte regionali e suburbane.
I vantaggi
- Azzeramento delle emissioni di CO2 nel caso di idrogeno verde per elettrolisi;
- possibilità di stoccaggio di energia rinnovabile: stoccando l’idrogeno proveniente da fonti rinnovabili si otterrebbe una fonte di energia verde anche in periodi dell’anno in cui la produttività degli impianti a energia rinnovabile, per loro natura, diminuisce;
- maggiore durata e velocità di ricarica nel settore mobilità rispetto all’elettrico;
- versatilità di utilizzo: l’idrogeno è utilizzabile anche da grandi consumatori di energia e settori che non possono operare solamente a batterie (hard to handle);
- possibile utilizzo o riconversione di infrastrutture esistenti (gasdotti, oleodotti, navi cisterna…) nel periodo di transizione (che può prevedere, ad esempio, un blending con gas metano) nella logica di minimizzare i costi, permettendo così anche una prima riduzione delle emissioni nei settori basati sulla combustione di carbone o petrolio (trasporti, residenziale…);
- capacità energetica circa tre volte superiore a quella del metano e della benzina: con meno prodotto si otterrebbe la stessa quantità di energia;
- possibilità di produrre ammoniaca green: materia prima estremamente importante sia in agricoltura che in molti processi industriali, l’ammoniaca potrebbe essere prodotta grazie alla separazione dell’azoto dall’aria e alla combinazione di questo con l’idrogeno verde prodotto da elettrolisi.
Gli svantaggi
- Costi di produzione ancora alti rispetto ai combustibili fossili e all’idrogeno tradizionale;
- elevata quantità di energia elettrica necessaria alla produzione: si va da circa 40 Kw a 60 Kw per kg di idrogeno, a seconda dei metodi di produzione e dell’efficienza dell’impianto.
- mancano una strategia e una normativa nazionale che regolino gli aspetti tecnici, legislativi e, soprattutto, di sicurezza e che possano tranquillizzare gli investitori, in modo che l’Italia possa diventare un Paese leader nel campo dell’idrogeno e dello sviluppo del suo mercato;
- difficoltà di trasporto: in miscele superiori al 20%, prevalgono le caratteristiche di bassa viscosità e alta velocità di diffusione in aria dell’idrogeno che, quindi, tende con più facilità a fuoriuscire dalle infrastrutture, aumentando la possibilità di incendio ed esplosione;
- difficoltà di stoccaggio: le tecnologie più diffuse prevedono lo stoccaggio dell’idrogeno in forma gassosa o liquida. L’immagazzinamento di idrogeno gassoso non richiede particolari attrezzature, tuttavia il basso valore di energia per unità di volume che caratterizza l’elemento in questa forma rende necessari contenitori di grandi dimensioni per poter immagazzinare una quantità di energia sufficiente, oppure un immagazzinamento sottoterra. Si tratta, di conseguenza, di una soluzione costosa, soprattutto per i grandi consumatori, che richiede particolari accortezze, anche a livello di sicurezza, e pressioni molto alte (mediamente 200-500 bar). Lo stoccaggio in forma liquida, invece, permette un maggior contenuto energetico per unità, ma richiede diverse strumentazioni (compressori, scambiatori di calore, turbine…) e temperature molto elevate. Anche in questo caso i costi sono elevati e, inoltre, durante il processo viene perso fino al 40% di energia. Altre possibilità di stoccaggio, però, sono al momento presenti, ma meno diffuse, o in fase di sviluppo. Ad esempio, le cosiddette soluzioni material-based che, cioè, prevedono lo stoccaggio d’idrogeno grazie all’utilizzo di altre sostanze, permetterebbero di evitare pressioni e temperature estreme, ma sono ancora piuttosto dispendiose a causa dell’energia e delle infrastrutture necessarie.
- necessità di nuove infrastrutture (elettrolizzatori, punti di ricarica…) e di aggiornamento del piping: nel caso dell’impianto del nostro cliente, ad esempio, a causa del basso potere calorifico dell’idrogeno gassoso rispetto al gas metano, convertire il bruciatore a un’alimentazione 100% a idrogeno significherebbe triplicare il diametro delle tubazioni. Sarebbero, inoltre, necessarie infrastrutture hydrogen ready che permettano il trasporto di volumi consistenti di idrogeno da aree con elevata disponibilità di fonti di energia, ad esempio il Sud Italia, a utilizzatori finali delocalizzati.